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Claudio Tomaello

Forse noi siamo qui per dire: casa  ponte, fontana,
porta, brocca, albero da frutti, finestra,

al più: colonna, torre… ma per dire, comprendilo bene,
oh, per dirle le cose così, che a quel modo, esse stesse,
nell’intimo,
mai intendevano d’essere.
                                                                        [R.M. Rilke]
Qualche anno fa tornai da un viaggio in Ladakh (India) con in cuore la meraviglia della tradizione buddista e del modo in cui essa intesseva la quotidianità.
Mi fu chiaro che quella non era la mia via, ma quell’esperienza fu fondamentale perché mi dimostrò l’importanza di ricollegarsi alle radici sacre della propria cultura.
Così tornai a casa con l’intento di trovare le mie.
Un giorno, in una libreria, trovai “per caso” un libro che parlava delle lettere ebraiche. Io non ero mai entrato in contatto con quella lingua, ma il libro mi affascinò e, mentre rincasavo, ebbi la sensazione che esso mi avrebbe riportato alla mia vera casa.
Fu una buona sensazione.
Infatti da quel giorno ho scoperto la ricchezza infinita dell’ebraico biblico, riposta nelle sue storie certo, ma anche in tutte le parole e perfino in ogni singola lettera.
Così è iniziato questo cammino di ricerca. Da allora lungo la via ho incrociato anche altre conoscenze (cabala, antroposofia, nuove energie) e sono diventato un temerario dilettante: provo cioè un grande diletto nello star in compagnia di questi grandi strumenti e delle continue scoperte che attraverso di essi la Vita mi regala.
È un cammino privo di verità indiscusse, lontano dai dogmi e vicino al mio respiro, condotto nella libertà (mentale, emotiva, spirituale) più piena che riesco ad esercitare.
È uno dei cammini possibili, ovviamente. Non è né il migliore né il più bello. È semplicemente il mio.
E il grande desiderio che mi anima è che ognuno possa trovare il proprio.
Perché ne vale la pena.
Davvero.


Progetto "ARCA"

Nei momenti di cambiamento, arriva sempre un diluvio.
O meglio, noi stessi diventiamo diluvio e spazziamo via ciò che di noi non serve più, ciò che è diventato vecchio e inutile. Permettiamo così un rinnovamento, impariamo a morire per vivere di nuovo, ci facciamo alba per un nuovo giorno.
Ogni volta che arriva un diluvio, bisogna costruire un’arca.
Arca in ebraico si dice “thebah” e significa “parola”.
È questo quindi l’invito nascosto nel racconto di Noè: imparare parole nuove, parole che permettano di cambiare prospettiva e generino vita e cambiamenti concreti.
Perché per la tradizione cabalistica è proprio così: sono state le parole a creare il nostro mondo.
Perché dare un nome alle cose significa possederle.
E non farlo significa esserne posseduti.
Il progetto ARCA nasce da queste basi e dal mio forte desiderio di iniziare a costruire un linguaggio nuovo, che risponda all’essenza delle parole. È un viaggio di riscoperta, fatto di molte tappe: ogni tappa una parola.
Parole come piante: desidero andare alla loro radice, per poter assaporarne compiutamente i frutti. E le radici sono molteplici: ebraico, greco, latino, mitologie, racconti, fiabe e tutto ciò che si farà trovare sulla mia strada.
È un lavoro da artigiani, che parte da alcune parole-seme, e su di esse, attorno ad esse, da dentro esse, tira fuori immagini, ipotesi, racconti, etimologie.
Nuotare su un fiume di nozioni per arrivare a distillarne poche gocce preziose.
Qui di seguito riporto a titolo di esempio il lavoro che ho fatto sul termine “parola”.

parola.pdf
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